Dieci domande su un mercato del lavoro in crisi by Emilio Reyneri Federica Pintaldi

Dieci domande su un mercato del lavoro in crisi by Emilio Reyneri Federica Pintaldi

autore:Emilio, Reyneri,Federica, Pintaldi [Reyneri, Emilio Pintaldi, Federica]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Sociologia, Contemporanea
ISBN: 9788815316622
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2013-10-14T22:00:00+00:00


7.

Il lavoro indipendente con larga clientela ha sofferto meno la crisi?

1. L’onda lunga di un’occupazione eterogenea

Verso la fine degli anni Settanta del secolo passato, con singolare sincronismo in quasi tutti i paesi europei, il processo di «salarizzazione» dei lavoratori si arrestò e gli occupati non alle dipendenze di un’impresa o di un ente pubblico tornarono a crescere anche in termini relativi. Ma la rinascita del lavoro indipendente, rilevante soprattutto in paesi ove sembrava in via di estinzione, come la Gran Bretagna e la Svezia, durò soltanto poco più di un decennio. Dai primi anni Novanta la percentuale di occupazione indipendente si stabilizza o riprende a diminuire, sia pure lentamente e con qualche interruzione. Perciò, la temporanea inversione della secolare tendenza a una maggiore organizzazione delle strutture produttive, più che con la ripresa dello spirito di iniziativa, è stata spiegata sia con la forte riduzione del ventaglio retributivo nel lavoro dipendente, che avrebbe spinto molti lavoratori altamente qualificati a «mettersi in proprio», sia con l’elevata disoccupazione, che sollecitò generose politiche pubbliche per promuovere imprenditorialità e lavoro in proprio.

Anche l’Italia segue questo andamento a U: la percentuale di lavoro indipendente, che era scesa sino a raggiungere un minimo del 26% nel 1977, risale sino a superare il 29% nei primi anni Novanta, ma poi riprende a diminuire sino a tornare al 26% all’inizio della crisi. La particolarità dell’Italia è, però, l’enorme diffusione del lavoro indipendente, la cui percentuale sull’occupazione totale è stabilmente oltre una volta e mezza quella media dell’Unione Europea a 15 (25% contro 15,7% nel 2012). Non è qui il luogo per discutere le varie ragioni per cui l’Italia è il paese economicamente sviluppato in cui l’occupazione indipendente è di gran lunga più diffusa. Tuttavia, se esaminiamo una prima dimensione dell’eterogeneità dell’occupazione indipendente, la tradizionale anomalia italiana si ridimensiona significativamente e ne emerge una diversa.

Lavoratore indipendente è chi lavora per proprio conto, come indica il termine inglese self-employed, e non dipende economicamente da alcuna organizzazione. Non percepire un salario a ricompensa del proprio lavoro e quindi sopportare il rischio di impresa o stipulare un contratto d’opera, che ha per oggetto solo il risultato della prestazione lavorativa: questi sono i caratteri distintivi del lavoro indipendente. Tradizionalmente i lavoratori indipendenti sono distinti tra chi impiega dei lavoratori salariati (i piccoli imprenditori) e chi non li impiega (i lavoratori in proprio). Ma ormai da parecchi anni la realtà dell’occupazione giuridicamente e statisticamente classificata come indipendente è diventata più eterogenea, poiché si sono diffuse forme di attività «indipendenti» per le quali è difficile cogliere differenze sostanziali da quelle alle dipendenze. Si tratta delle collaborazioni, dei lavori a progetto e delle prestazioni professionali per un solo committente (il famoso «popolo delle partite Iva»), che sono economicamente dipendenti e che, rispondendo alla sesta domanda (vedi cap. 6), abbiamo inserito tra i lavori instabili, perché di fatto presentano caratteristiche simili a quelle di un rapporto dipendente a tempo determinato. Queste attività di lavoro parasubordinato, che, pur presenti anche in altri paesi europei, sono molto più diffuse in



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